Esce oggi in tutte le librerie INVICTUS – Costantino, l'imperatore guerriero (Rizzoli Max, 592pp, € 8.80), del SIC friend (nonché scrittore collettivo, col suo J.A.S.T.) Simone Sarasso, e noi lo abbiamo intervistato in anteprima.
Innanzitutto, un'introduzione: presentaci Invictus, e non metterti a ridere se diciamo "senza spoilerare troppo": qui nessuno si ricorda granché, della storia studiata nel biennio...
INVICTUS è la storia di un ragazzino, figlio di genitori separati (Costanzo, il padre di Costantino, non sposò mai Elena, anche se non si rassegnò all’idea di crescere il proprio primogenito come un bastardo) che, per voler del padre (all’epoca uno dei Tetrarchi), viene spedito alla corte del Padrone del Mondo (Diocleziano, il Massimo Tetrarca appunto) a imparare un mestiere per cui non crede di essere assolutamente tagliato (l’Imperatore). Quel ragazzino diventerà uomo, s’innamorerà, imparerà a combattere e si guadagnerà il favore di un alleato imbattibile (L’Unico Dio, il Redentore, Gesù Cristo, insomma avete capito).
Niente male per il figlio d’una stabularia (una figura professionale a metà tra la locandiera, la stalliera e – duole dirlo, ma allora funzionava così – la mignotta), no?
Quando un annetto fa ci arrivarono le prime voci di un prossimo Sarasso targato Rizzoli, ci aspettavamo che andassi a pescare in quello che fino ad allora era stato il tuo ambito di riferimento, il passato italiano recente: come nasce l'idea di buttarsi invece sul passato remoto?
Giuro, non vorrei raccontare la storia della tizia che accompagna l’amica alle selezioni di Miss Italia e poi viene scelta per partecipare al concorso, ma è andata all’incirca così. Ormai quasi due anni fa discutevo col mio agente di quanto desiderassi misurarmi con la storia antica, dal momento che, in un campo da gioco come quello, la mia eterna riflessione sul potere avrebbe potuto trovare nuove prospettive. Maledicevo la sorte perché nessun editore avrebbe mai voluto da uno come me (che in genere mi occupo di bombe e stragi di Stato) un romanzo storico “puro”, quando lui mi disse che Rizzoli stava cercando esattamente una storia del genere. Mi mise in contatto con Michele Rossi – responsabile della narrativa italiana –, scrissi una sinossi e una scena di prova e qualche settimana più tardi ero immerso fino alle ginocchia nei documenti antichi.
Il lavoro su un romanzo storico non può prescindere dalle fonti: puoi raccontarci a quali hai fatto riferimento, e come ti ci sei rapportato?
Essendo un apprendista totale del genere, ho voluto fare le cose per bene e sono andato alla ricerca del maggior numero di punti di vista possibili. Ho letto le fonti (la Vita di Costantino di Eusebio di Cesarea e molto altro), ho consultato manuali di storia militare dell’epoca e poi mi sono avvicinato alle riletture storiografiche della vita dell’Imperatore Santo. Ho schedato un sacco di libri, da quelli più demodé (Burckhardt, per esempio, scrisse il suo L’età di Costantino il Grande più di centocinquant’anni fa) alle indagini più recenti. Ho cercato di essere irreprensibile dal punto di vista storico, e poi ho trovato la mia voce, cercando di immaginare come potessero esprimersi dei soldatacci che, per un motivo o per l’altro, finiscono per poggiare le chiappe sul trono più ambito dell’universo mondo.
Hai scelto di introdurre ogni capitolo con un'epigrafe, anche tratta da fonti non classiche e saggistiche – penso ad esempio a quel brano di Burckhardt sui quartieri dei generali romani. Spiegaci questa scelta.
La scelta era ancora più ardita, c'era persino una citazione da L'armata delle tenebre che è stata cassata – e che mi permetto di riproporre per i lettori di SIC, in esclusiva:
Ash: E tu chi sei?
Enrico il Rosso: Sono Enrico il Rosso, Duca di Shale, Signore delle Northlands e capo del loro popolo.
Ash: Bravo! Salve Signore dalle strane mutande! In questo momento sei il capo di due sole cose. Del cazzo e della merda... e anche di quelli per poco.
... L'idea era quella di descrivere l'atmosfera di ogni capitolo con una frase d'impatto, preferibile soprattutto se in contrasto con l'atmosfera generale del romanzo. Meglio ancora se la citazione è caratterizzata in maniera riconoscibile dal punto di vista linguistico ed è riconducibile a un immaginario dichiaratamente pop.
Leggendo Invictus abbiamo provato un senso di esaltazione che stava tra quella suscitata dall'epica sontuosa del primo Conan il barbaro e quella rarefatta ed efferata di Valhalla rising. Ma forse sono solo nostre impressioni: quali sono i tuoi riferimenti estetici?
Senz’altro il Miller di 300 (e il 300 di Zack Snyder). Poi la serie Spartacus e Conan, ovviamente. È dura scrivere di sangue, muscoli e mazzate senza pensare al vecchio Schwarzy. Per alcuni personaggi, però, l’idea è arrivata da luoghi inattesi. Nella costruzione di Diocleziano, ad esempio (in particolare per la sua rappresentazione sul campo di battaglia), mi sono ispirato a Raoul, il fratello adottivo di Ken il Guerriero. La mia intenzione era quella di abbinare a un impeccabile rigore storico tecniche narrative ultramoderne e un’estetica a cavallo tra videogame e serial TV.
Ok, sento distintamente rizzarsi sulla nuca i capelli del mio professore di Storia del liceo…
Corollario alla domanda precedente: l'immaginario fantasy ha cambiato il modo di raccontare la storia? E se sì, come?
La domanda è assai pertinente e la risposta è sicuramente sì, ma occorre fare dei distinguo.
Riguardo a quale fantasy.
Nel corso degli ultimi due anni il fantastico – così come il noir, il thriller o il giallo prima di lui – ha per così dire “saltato il fosso”. Merito della grandiosa produzione HBO Game of Thrones, che ha sdoganato il genere regalandogli un aspetto decisamente maturo, e arrivando a un pubblico enormemente vasto.
Gli spettatori della serie americana sono molti di più (e molto più eterogenei in base a gusti letterari e cinematografici ed età) dei lettori dei libri di George R. R. Martin da cui il serial è tratto. E la narrazione televisiva, benché si regga su una trama identica a quella dei romanzi (i fan della saga, altrimenti, avrebbero fatto fuoco e fiamme), ha tutto un altro sapore: più adulto, più “storico” se vogliamo. Senza tabù riguardo violenza, sesso, incesto e molto altro.
Dubito che questo passaggio di medium e questa rivoluzione narrativa abbiano lasciato indifferente chi si occupa di narrativa storica. E credo che, come 300 (parlo del film di Snyder più che del fumetto di Miller) ha cambiato per sempre il modo di raccontare la storia antica, così Game of Thrones cambierà il sapore della narrativa medievale.
Per quanto mi riguarda, l’influsso diretto del fantasy (e di G.O.T.) in Invictus è del tutto assente, per il semplice fatto che ho scritto il romanzo molto tempo prima che il serial arrivasse in TV. Non escludo di sentirne l’influenza in futuro, tuttavia. Specie se mi dovessi occupare di torbide e sanguinose saghe familiari.
Ci siamo conosciuti ai tempi del dibattito sul New Italian Epic, al quale sia tu che noi abbiamo contribuito. Trovi che il memorandum sia attuale, oggi? Come vi si relaziona Invictus?
Il memorandum aveva una collocazione spazio-temporale definita, ossia si riferiva a un periodo preciso (1993-2008) e a una precisa nebulosa di opere. A suo modo, non era attuale neppure quando uscì, dal momento che analizzava una serie di interrelazioni pregresse tra alcuni romanzi pubblicati nei quindici anni appena trascorsi. Dall’uscita del memorandum in poi, molto è cambiato, diversa è stata la coscienza di noi narratori e diverso l’approccio teorico a determinate questioni, soprattutto il rapporto con la Storia. Invictus fa senz’altro tesoro delle lezioni della “generazione” che ha prodotto il dibattito sul NIE, sarebbe impossibile altrimenti. Io, come autore, sono “figlio” di quella “generazione”, e ho imparato ad armeggiare coi materiali storici proprio leggendo alcune delle opere della nebulosa. Tuttavia, un’evoluzione è naturale: ho intrapreso un nuovo viaggio con questa “serie” romana (sì, avete capito bene: Invictus non resterà figlio unico per molto) e ho maturato un interesse per la rilettura della storia antica attraverso la lente della cinematografia d’azione, del pop brutale, dell’estetica artefatta da green screen. Senza la riflessione sul NIE (e tutto il portato della “nebulosa”, naturalmente), probabilmente scriverei libri differenti.
A causa della (forse inevitabile) fretta con cui si scorre a scuola la storia romana, quello che rimane di Costantino è quasi sempre solo la sua visione, il famoso "In hoc signo vinces", e il suo ruolo rispetto al cristianesimo. Inutile dire che la lettura di Invictus amplia e sconvolge questa visione limitata, ma raccontaci tu in che modo.
Riguardo alla “visione” devo dire di essere stato piuttosto conservatore. La scena che racconto (a parte qualche tocco di psichedelia) non è molto diversa da quella che si trova sui manuali di storia. Ed è quasi un peccato perché, alla luce delle recentissime scoperte storiografiche (si è chiuso pochi giorni fa un convegno romano della John Cabot University per celebrare i 1700 anni dalla battaglia di Ponte Milvio) pare che il racconto dell’epifania divina non sia altro che una ricostruzione posticcia e parecchio posteriore (un po’ come la storia della Donazione, tanto per capirci). E che i soldati di Costantino avessero sì dipinto delle croci sui loro scudi, ma che non ci fosse niente di religioso in quella faccenda: servivano semplicemente a riconoscersi nella battaglia.
In generale, però, spero di aver centrato i reali sentimenti di Costantino nei confronti dell’Unico Dio e del suo seguito, o almeno di averne dato una ricostruzione plausibile: se si analizzano le nude fonti (evitando di farsi trarre in inganno dall’agiografia di Eusebio), si comprende come tra l’Imperatore Santo e il Redentore si sia stipulato, da Ponte Milvio in poi, una sorta di patto d’affari, tipico della tradizione pagana: si continua a pregare la divinità che porta maggior “profitto”; in questo senso, l’accordo tra Costantino e il Cristo dopo la vittoria di Ponte Milvio sarà sempre più redditizio, e dunque non vi sarà alcuna ragione per revocarlo.
Esiste tuttavia un rovescio della medaglia: Costantino da giovane assiste alle persecuzioni di Diocleziano e Galerio nei confronti dei cristiani, e il ricordo delle sofferenze lo segna in maniera indelebile: è toccante, ad esempio, l’accoglienza che riserva ai patriarchi storpiati dalle torture a Nicea.
Nonostante la terribile esperienza, Costantino vivrà sempre la Chiesa come un’estensione del proprio potere temporale: non si stancherà mai di dire la sua persino nelle complicate questioni di fede (che comprendeva molto poco) e arriverà a presiedere (con malcelato disappunto tra i vescovi, sia “ortodossi” che ariani) il primo Concilio Ecumenico della storia. Insomma, per farla breve, Costantino ebbe un rapporto con il cristianesimo (e con la Chiesa, soprattutto) molto simile a quello di qualunque altro sovrano a lui posteriore: il caro vecchio “do ut des” è sempre stato di gran moda, fin dai tempi antichi.
commenti
Costantino
Son felice di aver conosciuto un autore nuovo che spero mi regalerà come molti altri ore di piacevole e interessante lettura. A presto!
costantino invictus
Devo dire questo libro mi ha piacevolmente stupito , i personaggi sono tratteggiati bene , a volte mi sono immedesimato talmente in essi ad esempio quando si parla dei sentimenti di Fausta per Costantino ,mi sembra che si sia dato un grande spessore a tutti i personaggi, la descvrizione delle battaglie è avvicente e così tutto l' intreccio .La maturazione di Costantino verso questa nuova religione ,il cristianesimo è descritta molto bene . Complimenti un gran bel libro ,vorrei proprio conoscere simone sarasso
grande sarass
grande sarass