SIC Blog → The Global Hamlet: Vanni Santoni intervista Simone Barillari

Simone Barillari, curatore e traduttore, è la mente dietro The Global Hamlet, un grande progetto di critica e traduzione collettiva dell’Amleto che a livello metodologico ha molto in comune con la SIC. Noi lo abbiamo intervistato.

Ciao Simone, cos’è The Global Hamlet e come nasce?

The Global Hamlet è un progetto di annotazione, traduzione e illustrazione collettiva dell'Amleto di Shakespeare. Il motivo per cui nasce è fare qualcosa che non era mai stato fatto prima: in particolare l’obiettivo ultimo è l’applicazione l’intelligenza collettiva all’arte. Grazie ai progressi della tecnologia, negli ultimi 10-15 anni l’intelligenza collettiva è stata messa a frutto in molti campi: nel software con Linux, nei dati con Wikipedia, anche nella politica, con la costituzione partecipata dell’Islanda; a noi interessava effettuare un passaggio dall’idea compilativa a quella creativa, arrivare all’assemblaggio di centinaia di migliaia di singoli contributi critici e di traduzione in un corpo unico, tramite il vaglio e la mediazione di un gruppo di esperti molto ristretto e molto selezionato.

In questo l’approccio di The Global Hamlet è simile a quello SIC.


Apprezzo SIC, ma mi sembra che ci siano varie differenze, non ultimo la mole dei partecipanti (decine di migliaia di persone in ogni lingua) che cambia il senso e la portata del progetto, la dimensione internazionale e infine la possibilità di contibuire in molti modi diversi che non sono la semplice scrittura (illustrazione, annotazione per immagini e video, recitazione per immagini e non, editing di file audio, segnalazione di testi, e così via). Credo poi che tutte le grandi creazioni collettive debbano avere da un lato un grande decentramento, che raggiunga il numero più vasto possibile di persone, ma dall’altro una certa centralizzazione nella gestione degli input, altrimenti il caos è inevitabile. E quando il tipo di contenuto che si vuole ottenere non è solo di tipo compilativo, allora un coordinamento competente è ancor più cruciale.

In che senso dici che The Global Hamlet non sarà solo di tipo compilativo?

Le traduzioni e l’apparato iconografico che raccoglieremo dovranno avere anche un certo valore artistico; non avrebbe senso puntare a realizzare “solo” un’altra traduzione dell’Amleto: deve essere anche una buona traduzione. Inoltre, il tipo di apparato critico che puntiamo a realizzare, per una serie di caratteristiche intrinseche, sarà un testo letterario, non soltanto un accumulo di commenti. Anche se per certi versi può far pensare a una Wikipedia dell’Amleto, è bene sottolineare invece che The Global Hamlet ha obiettivi più alti, sia per la cura che per la qualità stessa dei contenuti.

Come si rapporterà la vostra traduzione a quelle che esistono già?

Come una traduzione nuova, dove però chiunque può proporre un verso: una traduzione aperta.

Come pensate di impostare i lavori?


Apriremo ufficialmente i lavori a ottobre 2013, poi dopo 3-4 mesi, sulla base della quantità di materiali che saranno pervenuti fino a quel momento, potremo fissare una data finale. Il meccanismo di selezione e editing è volto al tentativo di gestire in modo creativo una massa di contenuti individuali anche molto piccoli – anche composti di poche parole. Abbiamo coinvolto professionisti come Riccardo Duranti, che ha tradotto, tra gli altri, Tom Stoppard ed è anche un ottimo traduttore di poesia; l’idea è di mettere un gruppo di esperti a gestire questa massa di contributi per offrire una unica traduzione e un unico testo critico.
Tuttavia, come accennavo sopra, il progetto è pensato per rimanere dinamico: anche se ci sarà una traduzione “definitiva”, che sarà quella che pubblicheremo in volume, The Global Hamlet rimarrà aperto online. Dopo il giorno della pubblicazione verranno cambiati gli editor e costoro daranno vita una nuova versione con i nuovi contributi degli utenti, che a un certo punto verrà pubblicata online e resa scaricabile.

Come e da chi verranno selezionati i vari contributi che arriveranno?

Per quanto riguarda l’Italia, saremo io, Riccardo Duranti e Giovanna Scocchera a selezionarli: ci siamo dati delle regole molto strette e delle indicazioni di stile volte a mantenere una certa omogeneità. Anche per l’apparato critico saremo noi a scegliere tra ciò che ci verrà inviato. L’idea di partenza è di selezionare circa il 10% migliore tra ciò che arriva. Non posso rivelare molto di più sul metodo, se non che ci avvarremo di un software sviluppato da Alessandro Piconi e dalla sua software house Sablab. 

Non credi che questa chiusura del metodo sia in contrasto con i principi alla base dell’open source?

Be’, teniamo conto che Linux ha un sistema di assemblaggio dei contributi, ma il centro operativo è costituito da quindici persone, e hanno un sistema di gestione dei contributi non completamente aperto...

Come funzionerà la parte iconografica?


Vogliamo che ogni illustrazione nella versione finale del libro sia opera di un artista diverso; le varie illustrazioni proposte verranno votate dal pubblico ma anche da una giuria interna allo staff di The Global Hamlet.

Il progetto ha un respiro internazionale che va oltre Italia e Inghilterra...


Sì, puntiamo ad avere traduzioni in cinque linque e coinvolgere quattro, forse cinque grosse case editrici: nel 2014, col 450° anniversario della nascita di Shakespeare, dovremmo riuscire a ottenere una grossa risonanza nel Regno Unito. Abbiamo inoltre coinvolto personalità di primo piano del mondo shakespeariano: in Inghilterra Ben Crystal, che ha fatto Amleto al National Theater ed è un grande esperto di pronuncia dell’inglese seicentesco; in Spagna Juan Antonio Montiel, traduttore che ha già esperienza di molti grandi poeti come WH Auden e William Carlos Williams; in Olanda, Erik Bindervet e Robbert-Jan Henkes, traduttori dell’Ulisse, di Dylan e dello stesso Shakespeare, vere e proprie star della traduzione nel loro paese. E naturalmente puntiamo ad ampliare ulteriormente la rete via via che il progetto andrà avanti.

Immagino che abbiate scelto l’Amleto per il suo ruolo rispetto alla “creazione dell’uomo moderno”, oltre che per la sua popolarità. C’è altro?


Sì, il motivo principale è l’“invenzione della modernità”: l’Amleto è l’opera che inaugura a tutti gli effetti i tempi moderni, fatti di raziocinio ostinato e ossessivo; è l’opera che in qualche modo inizia quell’uomo moderno da cui discende la tecnologia – per dirla con uno slogan, non ci sarebbe Internet senza Amleto. È altresì un’opera che è possibile immaginare come una specie di codice genetico della modernità – penso a Harold Bloom e alla sua definizione di Amleto come “l’Adamo moderno” –: ha in sé tutte le tensioni della modernità e quindi ci affascinava l’idea di mapparla. Inoltre si presta perché è in poesia – l’unità del verso ci dà dei binari stretti su cui è più comodo lavorare; infine ha pesato il fatto che si avvicinano grandi ricorrenze shakespeariane e quindi nei prossimi anni ci sarà, se possibile, ancora più attenzione per questo autore.

Se il progetto dovesse avere fortuna e continuare, su quale opera lo portereste?


Sicuramente La metamorfosi di Kafka. In realtà c’è già più che un pensierino circa l’avvio di un progetto in questo senso, nel 2015, mentre nel 2016 vorremmo buttarci su Romeo e Giulietta. In prospettiva mi piacerebbe molto anche lavorare su I fiori del male.