Qualche mese fa è uscito per i tipi di Marsilio Just Another Spy Tale, un romanzo a sei mani presentato al pubblico con l´intrigante lancio "il primo serial TV su carta" e firmato da Lorenza Ghinelli, Daniele Rudoni e Simone Sarasso, che abbiamo intervistato.
Ciao Simone, cominciamo con l'inevitabile introduzione a J.A.S.T.
J.A.S.T. è un curioso oggetto narrativo. Sta a metà tra carta stampata e TV. Sia come linguaggio (l'estrema paratassi simula il sincopato del montaggio ossessivo à la LOST e 24) che come formato (un cofanetto, in tutto e per tutto simile a quelli che raccolgono intere stagioni di serie televisive, al cui interno sono presenti tre libri dello stesso formato di un dvd). A vederlo incartato, il cofanetto di JAST, si pensa che sia una serie TV. E' esattamente quello il cortocircuito che occorre fare prima di immergersi nella lettura. Una volta dentro, le dinamiche di entertainment saranno le stesse: ogni episodio di JAST (ciascuno libro ne raccoglie 3 o 4) dura (se si calcola il tempo medio di lettura) quanto un episodio di un serial americano.
Da dove è uscita questa idea? Quali le sue potenzialità? Credi che questo approccio possa vedere ulteriori sviluppi?
L'idea m'è venuta una tarda mattinata di luglio. Era il 2007, l'inizio della nuova età dell'oro dei serial televisivi americani. Durante quell'estate ero in piena frenesia da serie TV: macinavo decine di puntate di LOST, PRISON BREAK, 24... Dormivo poco, m'inebriavo molto: di nuove storie, di narrazioni lunghe e mature, di colpi di scena straordinari, di personaggi finalmente tridimensionali (al cinema era pieno zeppo di figurine e nient'altro..). Era l'alba di un nuovo giorno nella grande storia della narrazione e io volevo farne parte.
Sfortunatamente, non avevo nè un produttore che credesse in me, nè milioni di dollari con cui costruire un serial con tutti i crismi. Per cui feci come faccio sempre: iniziai a scrivere. La carta è economica e non pone limiti econimici alla produzione.
La prima intuizione fu il packaging: per convincere il lettore che non si trattatava di un romanzo ma di una serie TV (benchè su carta), doveva "assomigliare" a una serie TV. Da qui l'idea del cofanetto.
Ora che l'opera è finita, confezionata e finalizzata e che cammina con le sue gambe, sono davvero contento di come sta esprimendo il suo potenziale. Il successo di pubblico di J.A.S.T. dice qualcosa sui bisogni narrativi dei lettori: molti di loro sono anche (come il sottoscritto e i miei soci) spettatori di serie TV. E ci hanno messo pochissimo a fare il salto cognitivo dallo schermo alla carta. J.A.S.T. è un primo passo verso una nuova forma di narrazione "ibrida", a metà strada tra pagina e schermo. Il prossimo passo potrebbe essere quello di aggiungere una terza dimensione al prodotto: l'interattività. Immagino un ponte tra libro, serial e videogame. Con il resto della crew stiamo ragionando sulle possibilità offerte dall'ebook e dalle nuove tecnologie d'interazione.
Come nasce l'idea di impegnarsi in un romanzo a sei mani?
Avevo in mente la storia e sapevo che due mani non bastavano. Ecco perchè ho coinvolto i miei soci.
In un articolo (*) il collettivo all'origine di J.A.S.T. viene definito "capitanato da Simone Sarasso". Questo significa che nei lavori hai avuto un ruolo direttivo?
Sì. Ho stabilito fin dall'inizio che la direzione artistica del progetto sarebbe stata mia. La storia è stata costruita con un brainstorming a tre teste, ma poi ho steso io il canovaccio scena per scena. E ho affidato a ciascun autore (me compreso) un numero variabile di episodi.
Qual è stato il ruolo e l'apporto di ciascun autore?
Ogni autore ha seguito un personaggio attraverso gli episodi che ha scritto e "diretto". Ogni tanto, è inevitabile, ci sono stati incroci tra i vari personaggi. In quelle occasioni, i personaggi degli altri sono stati presi in prestito e gestiti dall'autore che "girava" l'episodio in questione.
Come ti sei trovato a lavorare con i personaggi altrui, e come ha preso ciascuno di voi il lavoro fatto dagli altri sui "propri" personaggi?
L'approccio di tutti nei confronti dei personaggi degli altri è stato molto rispettoso del carattere delineato dall'autore "proprietario" di ciascun personaggio. Per quanto mi riguarda, è stato parecchio interessante "interpretare", scrivendo, altre parti oltre a quelle (da schifosi pezzi di merda) dei miei characters abituali. Lavorare con realtà così diverse fa vivere una vera e propria sensazione di "regia". Credo che l'esercizio sia molto salutare per chi scrive di professione.
Puoi riassumere brevemente la metodologia di lavoro con la quale avete scritto il romanzo?
Creazione collettiva della storia (documentazione collettiva su temi diversi), definizione collettiva dei personaggi e delle loro psicologie, stesura mia della scaletta scena per scena e assegnazione (sempre mia) degli episodi ai vari autori, scrittura individuale dei singoli episodi.