In occasione dell'uscita di Dove finisce Roma, romanzo che abbiamo particolarmente a cuore poiché, come In territorio nemico, parla di Resistenza da un punto di vista atipico, avevamo realizzato una intervista alla sua autrice Paola Soriga. Le risposte erano rimaste impigliate da qualche parte nelle nostre mail, e la faccenda era rimasta in sospeso. Oggi sono tornate alla luce e solerti (o quasi) le pubblichiamo:
Quando e come nasce la scelta di scrivere questo romanzo?
A maggio del 2009, con una poesia che stavo scrivendo (che iniziava con Cento le celle in fondo a via Prenestina e finiva con anima mia dov’è che poi finisce Roma), con un libro che mi era capitato fra le mani (Città di parole. Storia orale di una periferia romana, Donzelli, 2007), con la casa di mio nonno che andava venduta e l’armadio in cui mia nonna Ines aveva scritto, con una penna rossa, nella parte interna dell’anta destra, la data del matrimonio e quelle delle nascite dei figli. Poi è arrivata Ida e con lei la sua storia.
Cosa significa narrare la Resistenza oggi?
Questa è una cosa che mi sono chiesta soprattutto dopo che il romanzo è uscito, soprattutto perché mi è stata chiesta. È un elemento che è entrato da subito nella narrazione ma senza che io sapessi, o mi chiedessi, perché. Mi interessavano delle analogie che leggevo tra le due epoche, dei contrasti. Non so dunque rispondere se non dicendo che significa mantenere la memoria, l’esperienza.
Come si inserisce specificamente Dove finisce Roma in questa narrazione?
Alcuni recensori hanno definito Dove finisce Roma staffetta di memoria. Se penso a una posizione, un ruolo del romanzo credo che potrebbe essere questo. Che poi è un po’ il significato che do all’esergo di Zsymborska.
Recentemente, leggendo Ribelli!, un libro di testimonianze di partigiani e partigiane, ci colpiva l'affermazione di una di loro, che diceva "ho fatto la Resistenza perché [a noi donne] il fascismo ci considerava tutte senza cervello" – anche tu hai scelto una protagonista femminile. Resistenza e genere: dicci quello che ti va.
La Resistenza è stata per le donne italiane un momento di straordinaria importanza. Le loro storie parlano di libertà eccezionali, di improvviso potere decisionale. Lo raccontano molto bene, per esempio, Miriam Mafai in Pane Nero o la storica Michela Ponzani in Guerra alle donne. Per molte di loro, soprattutto per quelle che vissero quest’esperienza giovanissime, a 14 o 16 anni, la lotta per la liberazione fu anche una lotta per la liberazione personale e, dunque, di genere. Molto di loro furono poi quelle che, nell’Italia repubblicana, nell’Assemblea Costituente, nei Partiti, portarono avanti battaglie concrete per l’emancipazione femminile. Ricordiamoci che le donne in Italia votarono per la prima volta proprio nelle elezioni politiche del ’46.
Durante la presentazione del medesimo libro, un partigiano diceva: "sono stati mesi bellissimi, non avevamo nulla ma eravamo felici." – forse un'Ida corrisposta avrebbe potuto esprimersi con le stesse parole?
Forse sì, forse questa è una frase che si può riferire alla maggior parte delle giovinezze.
Durante i lavori di In territorio nemico abbiamo avuto l'impressione che alcuni personaggi volessero uscire dal mero contesto storico e dialogassero con la contemporaneità: che emergessero in loro, come in un sottotesto, tratti contemporanei. In cosa è contemporanea Ida, se lo è?
Nel suo rifiuto del razzismo, della violenza, dell’omologazione, della sottomissione in quanto donna.
Nei ringraziamenti citi "tutti quelli che hanno voluto raccontare la Resistenza", oltre a quelli che l'hanno fatta. Altri indizi, per così dire, "genealogici", sono nascosti in alcuni dei nomi che hai scelto. Puoi raccontarci brevemente quali sono state le tue fonti storiche più importanti, e quali invece le maggiori influenze nel campo della letteratura resistenziale?
I libri della letteratura resistenziale li ho letti soprattutto nel corso degli anni, mentre scrivevo li ho tenuti da parte. Fra loro: Il partigiano Johnny e I ventitré giorni della città di Alba, di Fenoglio, e Fenoglio in generale; L’Agnese va a morire, di Viganò; Il giardino dei Finzi Contini, di Bassani; Fausto e Anna, di Cassola; La casa in collina, di Pavese, Uomini e no, di Vittorini. Mi vengono in mente questi. Poi due romanzi sulla guerra civile spagnola, di due autori catalani: La piazza del Diamante, di Rodoreda e Le voci del fiume, di Cabrè. Altri li ho letti dopo averlo finito, come I sentieri dei nidi di ragno, di Calvino. Poi sono stati molto importanti libri come quelli che ho citato prima di Portelli e di Mafai, e poi raccolte di lettere, diari, saggi storici.
(foto di Gianluca Vassallo)