Diodi, uscito da poche settimane, è un film di Fulvia Alidori, Giulia Maraviglia, Domenico Scarpino e Saverio Tommasi (qui il trailer). Diodi ci interessa perché parla di Resistenza, perché si basa su testimonianze e aneddoti raccolti di prima mano, e perché è un'opera scritta e diretta collettivamente. Abbiamo intervistato i quattro autori. Queste le domande:
1. Come nasce l'idea di Diodi
2. Come si è costituito il gruppo di lavoro?
3. Che metodo di lavoro collettivo avete utilizzato?
4. Cosa significa raccontare la Resistenza oggi?
5. Come si inserisce specificamente Diodi in questa narrazione?
E queste le risposte, nell'ordine, di Fulvia, Domenico, Giulia e Saverio.
1. L'idea del film nasce semplicemente da un incontro: portai Silvano "Pillo" Sarti, Presidente ANPI Firenze, da Saverio alla sua Cabina Teatrale e lì conobbi Giulia. Saverio lo conoscevo già, anzi per dirla in modo più preciso, lo avevo conosciuto personalmente a Calenzano in un'iniziativa ANPI in cui presentò la sua video-inchiesta "Razzisteria". Comunque il giorno in cui conobbi Giulia tutti e tre ci dicemmo: "perchè non facciamo qualcosa insieme sulla Resistenza?". Poi al momento di iniziare le riprese ho conosciuto anche Domenico.
2. Il gruppo si è costituito in maniera molto semplice come appena raccontato. Ognuno di noi ha delle caratteristiche, delle competenze, delle conoscenze diverse che sono andate a costituire proprio l'ossatura di questo progetto e così anche la divisione dei compiti è venuta in modo del tutto naturale, segno anche di una certa affinità andata via via crescendo con la conoscenza reciproca.
3. Non abbiamo stabilito a priori un metodo, diciamo che, considerando le nostre differenze e, all'inizio, la nostra non approfondita conoscenza, ci è venuto naturale "armarci" di pazienza per arrivare ad una scelta condivisa e che rappresentasse tutte le nostre sfaccettature, in fondo ognuno di noi ha dovuto, nel corso del lavoro, rinunciare a qualche pezzettino però per un progetto più ampio che ci rappresenta bene tutti, a mio parere.
4. Raccontare la Resistenza oggi significa, da una parte, conoscere da dove veniamo, cercare di capire come è nata la nostra Repubblica e, soprattutto, ricordare sempre che c'è stato un tempo in cui non ci si poteva esprimere liberamente, neanche per andare magari un sabato a fare una passeggiata o quel che volevi, poichè con il sabato fascista eri obbligato a fare esercizi ginnici, anche se non ti piaceva; dall'altra significa impegnarsi affinchè i valori democratici, conquistati dai nostri nonni partigiani, siano difesi e raggiungano un numero sempre maggiore di persone. La libertà è come l'ossigeno, ti accorgi che ti manca quando non ce l'hai più, ecco io penso che non bisogna mai dare niente di scontato e che bisogna impegnarsi per migliorare la nostra piccola parte di mondo
5. Diodi è un racconto privo di retorica e di eroismo, ci consegna l'immagine di una Resistenza fatta da persone normali, comuni, che si sono trovate, in alcuni casi e anche in modo fortuito a vivere eventi incredibili. In alcuni casi non è stato nemmeno un merito, ci si sono trovati immersi in mezzo, ma quel che conta è che ognuno di loro ha cercato il meglio non solo per sè ma anche per gli altri, è questo che mi ha sempre colpito dai racconti dei miei nonni e dei tanti partigiani che ho conosciuto: la semplicità, la sobrietà e la voglia di uscire dalle difficoltà insieme, cioè quel che Don Milani definiva "politica".
1. L'idea di Diodi nasce da un primo contatto tra Giulia e Saverio e dal proposito di realizzare un documentario su un tema "importante" come quello della Resistenza.
2. Il gruppo di lavoro si è formato con l'aggiunta di Fulvia, contattata da Saverio per i suoi "agganci" all'ANPI e me (Domenico) che già da tempo lavoravo con lo stesso Saverio alla realizzazione di video a carattere sociale, prima semplicemente con l'intenzione di occuparmi esclusivamente della parte tecnica poi con sempre maggiore partecipazione allo svolgimento del progetto.
3. Non abbiamo usato un vero e proprio metodo, a dirla tutta, ma un accordo sulla base della necessità che tutto venisse svolto "a 8 mani", cioè con la partecipazione concreta di tutti ad ogni decisione presa man mano che il lavoro andava avanti e che sempre doveva avere l'approvazione collettiva, cosa che naturalmente ci ha rallentato ma allo stesso tempo ci ha permesso di fare un lavoro basato effettivamente sul consenso.
4. Direi che si tratta di mantenere una direzione, di ricordare che non siamo senza radici. Proveniamo da un progetto per un mondo migliore, portato avanti per tutta la vita dagli uomini che hanno fatto la Resistenza, che non può e non deve finire con loro. Per dirla con le loro parole raccontare la Resistenza significa continuare a lottare "per una società più giusta".
5. Diodi è questa lotta né più né meno. Senza presunzione, il sogno di un mondo migliore è la spinta che ci ha permesso di realizzare questa piccola opera di "conservazione della memoria". Certo è solo un tassello, ma necessario proprio per questo. In elettronica l'applicazione moderna del diodo è il LED, i televisori, l'illuminazione, perfino i sensori delle macchine fotografiche digitali funzionano attraverso questi elementi, ma ce ne vogliono tanti, milioni, per ottenere risultati apprezzabili e di qualità, Diodi contribuisce a costruire questo risultato...
1. Per me l'idea è nata direi come una talea: da un lavoro collettivo è nato un altro lavoro collettivo. Nel 2009 con l'osservatorio sulle nuove destre – un gruppo "multidisciplinare" di amici pistoiesi che voleva descrivere il presente o meglio ancora fare qualcosa per capirlo un po' meglio – abbiamo portato una mostra sul neofascismo alla Cabina Teatrale di Saverio Tommasi.
In quella occasione ho incontrato, oltre a Saverio, Fulvia e poi Domenico. Conoscendoci ho capito che anche loro erano, come me, alla ricerca di una chiave di lettura del presente. Diodi nasce dalla voglia di fare qualcosa di nuovo insieme e farlo partendo da una storia comune, da un passato che sentiamo come il nostro punto di origine perché è un passato che abbiamo vissuto nei racconti dei nostri nonni. E nasce dalla consapevolezza di essere l'ultima generazione ad aver ascoltato quei racconti in viva voce, di volerli conservare e trasmettere come qualcosa di molto prezioso, perché questo è stato per noi.
2. Il gruppo si è incontrato quasi per caso ma si è costituito per affinità: iniziando a lavorare al progetto abbiamo scoperto che era molto divertente fare le cose insieme, abbiamo individuato punti forti e punti deboli di ciascuno, abbiamo imparato al tempo stesso a prenderci in giro e a prenderci sul serio.
3. Un metodo spontaneo. C'è da dire che di base c'era molto interesse ad ascoltare e capire le idee degli altri e trovare sempre una soluzione che, pur non essendo un compromesso, fosse soddisfacente per tutti. Al tempo stesso abbiamo impiegato, forse proprio per questo, veramente molto tempo: nella realizzazione di un documentario, e soprattutto nelle fasi di premontaggio e montaggio, bisogna fare continuamente scelte e noi le abbiamo discusse tutte e fino in fondo, con una modalità a tratti, va ammesso, estenuante.
Però il risultato è stupefacente, perchè guardando il documentario una volta finito ci siamo accorti che è veramente frutto della commistione delle idee. Questo mi ha fatto capire che dedicare tempo alla realizzazione di un'idea, dedicarne tanto - fin quasi a pensare di star perdendo tempo - non solo è necessario ma è anche appagante.
4. Significa raccontare la storia dei nostri nonni e quella delle nostre nonne. Farlo attraverso le loro voci - il tono severo con cui viene pronunciato un nome, lo sguardo che corre dietro un ricordo, un particolare così presente che l'aneddoto sembra successo ieri - permette di registrare la traccia emotiva di un'esperienza collettiva passata ma non antica.
5. Diodi, permettendo all'energia di fluire, vuole dare al suo pubblico tante piccole scosse, a momenti la scossa prodotta da un'emozione, a momenti la scossa prodotta da una riflessione. Diodi è stato montato con l'intento di creare un concentrato di spunti di riflessione. In questo nostro tentativo la volontà di trasmettere in 50 minuti la carica emozionale di 18 ore di racconto vis-à-vis.
1. Abbiamo sentito la necessità di raccontare un pezzo, e un perché, della società contemporanea partendo dalla società passata. Che ovviamente non è "passata" ma ha solo del tempo frapposto fra l'oggi e lo ieri.
Abbiamo voluto unire il peso della memoria con la necessità del racconto, aggiungendo un pizzico di volontà a una dose di paziente collaborazione. Ne è nato un miscuglio nient'affatto casuale, che ha avuto due anni per lievitare e ora è una figlia che si chiama documentario, ma che noi chiamiamo docufilm.
L'idea nasce da un intreccio, e come tutti gli intrecci ben riusciti alla fine non ritrovi mai il punto di partenza, ma capisci bene cosa è necessario fare per andare avanti. Continuare a intrecciare.
2. Ci siamo odorati, durante vari incontri. I nostri odori ci sono piaciuti e abbiamo pensato che per un buon profumo, però, occorresse mischiare i nostri odori. Facendolo abbiamo ottenuto una fragranza a cui abbiamo messo il nome Diodi.
3. Abbiamo lavorato all'impronta e all'improvviso. Ci ritrovavamo nei ritagli di tempo. Con il procedere del lavoro, e la passione divorante, abbiamo iniziato a ritrovarsi eleggendo Diodi a tempo e relegando lavoro e famiglia nei ritagli.
Finalmente Diodi è terminato, altrimenti alcuni di noi si sarebbero ritrovati fuori casa. Sbattuti e scalciati, comunque soddisfatti. Sorridenti. Ecco, mi piace finire così, con un sorriso.
4. Cosa significa raccontare la Resistenza oggi?
Per me significa continuare a camminare. Con la lentezza che un racconto richiede e pretende. Perciò con le giuste pause e "il giusto passo". Un racconto in cui lo sforzo maggiore è quello di essere in grado di cambiare sempre le parole, perché se il significato della Resistenza resta immutato, deve invece cambiare il modo di raccontarla, perché cambiano gli uomini. E la Resistenza è un atto umano.
5. Come si inserisce specificamente Diodi in questa narrazione?
Diodi è un tassello di un grande mosaico. Ogni volta che qualcuno insulta la Resistenza, magari inveendo contro gli immigrati, o chiamando i partigiani "assassini", il mosaico si smonta e perde pezzi. Il nostro lavoro, certosino, infinito, paziente, gentile, è quello di riprendere i pezzi del mosaico e incastonarli insieme. Sapendo che ogni volta è più difficile, perché quando un pezzo cade si graffia e si spezza, e allora il nostro compito di assemblaggio diventa più difficile, ma forse anche più necessario. Non siamo soli, comunque. E il mosaico riesce comunque, ancora, a raccontare il passato in funzione di un altro futuro. Migliore dell'esistente.